UNA SBIRCIATINA AL JAZZ CONTEMPORANEO
Jazz, vibrante tensione acustica, fenice che muore e risorge dalle proprie ceneri a ritmo con la storia.
Detiene buona parte della scena musicale del ‘900, dallo swing commercializzato di Louis Armstrong, baluardo del Ragtime e dello stile Chicago, alla stroncatura rivoluzionaria del Bebop di Charlie Parker e Charles Mingus, trisavoli del Cool Jazz di Miles Davis del Fusion dei Weather Report e di molto, molto altro (Soul, Free, hard Bop).
Tramontati, i colossali titani hanno inseminato con le loro screziate vestigia un panorama contemporaneo dalle mille sfumature; un prisma dagli infiniti colori, riflettente in mescolanza con l’atavica luce, raggi di nuovi orizzonti.
Il campione più fertile di questa nuova elaborazione è il Nu Jazz, genere dei tardi anni ’90, prodotto di sonorità tipicamente jazz contaminate da elementi funk, soul e di elettronica.
Negli ultimi anni, ha fatto breccia nelle strade e periferie di tutta l’Inghilterra, erigendo la capitale Londra a rocca del “renaissance jazz” e balia di un genere da molti considerato ormai morto, sepolto ed elitario.
Dall’affluire di giovani talenti nella capitale, nasce un vero e proprio movimento musicale;
senza calcolo di origini, quartieri o estrazione sociale, iniziano ad incontrarsi per comporre un jazz destinato a tutti, lontano dalle mura della nicchia in cui era vincolato.
Il primo successo, targato Black Focus del 2016, è una fusione tra funky anni 70 e esperienza da club londinese, suggellata dalla collaborazione del tasterista Kamaal Williams e batterista Youssef Dayes. Il risultato è un esemplare esempio di “New” Acid Jazz, tra hip-hop e dance floor.
A grappolo, compare nel 2018 il progetto We Out Here, esperimento a tabula rasa che si è fatto epicentro di artisti quali il collettivo Kokoroko, la sassofonista Nubya Garcia, il visionario Joe-Armon Jones, lo sciamanico Shabaka Hutchings e molti altri.
L’ecletticità degli artisti presenti è il riflesso della caleidoscopicità del nuovo jazz sorgente, di cui l’etichetta jazz pare essere un mero nome contenitore delle più disparate sonorità, tra Afrobeat, post reggae, nu soul e ska.
Sulla scia di una musica sempre più poliedrica e essoterica, compare il guizzo di Alfa Mist , tastierista autore di Antiphon, Structuralism e l’ultima uscita Bring Backs. Il giovane di Newham è il portavoce dell’esigenza dei più colti che della curiosità dei neofiti, dimostrandosi accessibile e stimolante, col suo jazz caldo ed introspettivo, crocevia di hip hop spoken, smoky jazz e beat grime.
Per effusione, il tepore universale del jazz rinascente è diventato il focolare di tutta Europa.
In particolare è nella glaciale Svezia che si è fatto falò di pub e strade.
Qui riecheggia il contrabbasso del magmatico Petter Eldh, amante dei suoni pesanti e vulcanici, come palesa in Project Drums Vol 1, cosi come delle sonorità più catastematiche e soavi, proprie di alcune tracce dell’album Koma Saxo e dell’ultimo Vermillion.
Numerosi gli artisti con cui ha collaborato e si è fatto strada, primo tra tutti il sassofonista outsider Otis Sandsjo; con l’EP di debutto “Y-OTiS” si affermerà come una delle principali voci del Liquid Jazz Europeo, una forma del jazz post-transumanista che valica i confini del moderno stesso.
In continua evoluzione e in infinite diverse incarnazioni, il Jazz del ventunesimo si propone come un multiverso di stili e influenze, capaci di farsi ascoltare non più al ristretto bacino d’utenza colto ma, in maniera letterale, a chiunque sia dotato di orecchie e di cefalo.
Alessandro Pesce