Scorre, e continua a farlo. Seppur una ferita è invisibile agli occhi, esiste. Non è sangue, forse, quello che fluisce ma una lacrima: salata, traslucida scivola sulla guancia destra e idrata il labbro avvizzito. Né un pugnale né un’arma da fuoco hanno squarciato il corpo, la lesione è più profonda: ha afflitto l’anima. Non è la pelle, infatti, a lamentarsi, a rendersi vittima, a mendicare attenzioni: sanguinano gli occhi, lo specchio della ψυχή, il nostro vero io. Una parola, sputata con indifferenza, è veleno per l’anima altrui.

Ci riconoscono come permalosi, suscettibili, ipersensibili senza comprendere il nostro dolore. La mia guancia destra ha conosciuto tante, forse troppe, volte quella lacrima che imperterrita ha continuato a bagnare i miei zigomi per anni e anni. Sempre di notte, nel buio, il sonno prorompente che, serrando le palpebre, era l’unico a cicatrizzare la mia sofferenza. Sconosciuta la mia angoscia, celata rigorosamente dietro sorrisi di circostanza, suoni monosillabici eccessivamente timidi per poter essere rispettati e, indossando una maschera di solare ilarità, sprecavo la mia vita. Parole, commenti, azioni, opinioni, giudizi, incassati senza mai un lamento, un contraccolpo, una risposta.  Lo sforzo invano che mi imponevo per non piangere ha solcato la pelle sotto i miei occhi: l’asperità delle rughe era l’unico segno espressivo dei miei tormenti. Quella tempesta interiore che non riuscivo a esternare, dove i fulmini illuminavano le mie ansie, i tuoni spolmonavano le mie paure e le onde, iene, aspettavano il crepuscolo per nutrirsi del mio pianto, è stata domata.  Come? Parlando!

Non è facile reagire ma è l’unico modo. Le esperienze della vita si confondono e si intrecciano le une con le altre e si cresce insieme a loro. Il cambiamento è repentino, evidente. Sopraggiunge la stanchezza e anche un certo senso di rigurgito verso l’esterno che non permette più di sopprimere le emozioni. 

Siamo in tanti a soffrire in silenzio, bagnando il nostro cuscino ma in pochi a urlare in faccia ai nostri aguzzini tutta la rabbia. Per liberarci dalle contumelie da cui siamo stati sommersi bisogna esteriorizzarle, oggettivarle, comprendere che non fanno parte di noi ma che ci sono state affibbiate. 

Ciò che perpetrano è una violazione, un abuso e, per quanto triste il messaggio possa essere, per difenderci siamo costretti a fare lo stesso. L’essere umano è l’animale più crudele che io conosca perché a differenza delle altre creature, condannate a essere schiave dei loro istinti, ha una scelta. È dotato di ragione, possiede una coscienza, ha la facoltà di riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni eppure agisce, consapevolmente, per ferire. Smettete voi, allora, di essere docili prede! Urlate, ringhiate, ribellatevi ai vostri bulli, colleghi invidiosi, amici morbosi. Mostrate la vostra intelligenza, articolatela con i lemmi giusti e usufruitene per essere liberi di esprimere voi stessi e difendere la vostra dimensione più intima dalla tossicità del mondo. 

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